di Maurizio Trezza.
Dopo due anni dall’ultima volta gli italiani vengono chiamati ad esprimere “senza intermediari” la loro volontà su questioni di politica nazionale. E’ stato fissato, infatti, per il 12 e 13 giugno prossimi, il referendum sulla privatizzazione dell’acqua, sul ritorno al nucleare e sul legittimo impedimento. Non voglio entrare nel merito delle questioni referendarie, in tv (poco) e sul web è già possibile documentarsi in modo esaustivo, voglio piuttosto parlare di una questione che è sotto gli occhi di tutti ma che non è mai approfondita, anzi nemmeno trattata.
Si parla molto, soprattutto a ridosso di appuntamenti di questo tipo, dei limiti dell’istituto referendario, delle possibili modifiche e ritocchi a cui dovrebbe essere sottoposto, ma non si parla mai dei limiti, seppur palesi, della classe politica rispetto al nostro istituto di democrazia diretta. Può sembrare un’analisi qualunquista ma vi spiego perché non è così. Ci viene incontro l’art. 75 della nostra Costituzione nel quale è regolamentato l’istituto del referendum abrogativo (che è quello che ci interessa), in particolare al quarto comma è fissato, per la validità della consultazione referendaria, un doppio quorum, uno funzionale e l’altro strutturale: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Sulla prima delle due regole da anni si gioca una partita meschina che possiamo definire senza esitazioni irresponsabile e antidemocratica.
La pratica che qui condanno ha accompagnato la storia dei referendum abrogativi sin dalle origini ma è dal 1990 che ha assunto un ruolo sempre più consistente. Durante una “tribuna referendaria” responsabili della Federcaccia invitarono i cittadini all’astensione nel referendum sulla caccia e i pesticidi del giugno di quell’anno. Da allora si è registrato un puntuale ricorso a tale pretesa da parte di partiti o esponenti politici contrari all’abrogazione della normativa che veniva di volta in volta proposta. E’ dell’anno successivo il memorabile intervento dell’indimenticato Bettino Craxi che si rivolgeva agli elettori invitandoli ad “andare al mare” piuttosto che recarsi alle urne nel referendum del 1991 sul sistema elettorale. Nel primo caso l’appello degli astensionisti muniti di fucile ebbe esito positivo, quello del 1990 raggiunse un afflusso intorno al 43% e fu il primo referendum della storia repubblicana a non raggiungere il quorum, nel secondo caso invece le spiagge rimasero vuote e i seggi elettorali sufficientemente affollati (62,5%). Da allora ad ogni vigilia di referendum partono appelli accorati alla non partecipazione e in questi giorni gli stessi richiami non sono tardati ad arrivare, puntuali come una sveglia.
Sulla legittima scelta dell’astensione non discuto, tralascio le questioni di merito sui presunti diritti/doveri, sull’obbligo civico e il disinteresse crescente, ma sulla slealtà politica di una pretesa astensionista proprio non sorvolo.
Di tanto in tanto bisogna ricordare ai nostri rappresentanti l’esistenza di alcuni principi fondamentali sui quali si basa il sistema democratico, rappresentativo e civile del nostro Paese. Costituzione Italiana, art.1: “[…] La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. E’ triste vedere che l’esistenza di questi dettami viene invocata solo quando fa comodo, quando si tratta, cioè, di difendere la postazione di comando sulla quale si è seduti. E’ di questi mesi la polemica che vede opposti potere giudiziario e potere politico, il primo impugna i codici, il secondo la “legittimazione popolare”, riempiono le interviste e i dibattiti con parole tipo: democrazia, volontà dei cittadini, mandato degli elettori, investitura democratica, popolo sovrano e via dicendo, ma che fine fanno gli stessi valori quando si cerca spudoratamente di evitare che la volontà dei cittadini diventi discriminante? Dove va a finire il principio democratico quando si invita l’elettore a non determinare una scelta che è quanto mai democratica? E’ proprio questo il punto. Gli stessi personaggi pronti ad impugnare la sovranità popolare come scudo contro il potere giudiziario il giorno dopo se ne dimenticano e chiedono al popolo di non esercitare più quella sovranità. Bisogna tener presente che l’appello all’astensione ha avuto spesso risultati favorevoli: in Italia non si raggiunge il quorum necessario dal referendum del 1995, vale a dire per sei appuntamenti consecutivi (gli ultimi 24 quesiti referendari), con una forbice di affluenza che va dal 49% nel 1999 al 23% nell’ultimo referendum del 2009. Inoltre, l’astensionismo spesso non è solo invocato a parole ma viene favorito da disposizioni subdole e ambigue, la mancata approvazione dell’election day di quest’anno (accorpamento delle amministrative e del referendum nello stesso giorno), che avrebbe fatto risparmiare tra l’altro più di 300 milioni allo Stato, ne è un esempio clamoroso.
Riporto l’ordinanza del g.i.p. Colella che rispondeva così alla richiesta di archiviazione per una denuncia presentata contro il sodalizio dei cacciatori che avevano invocato l’astensione sul referendum del 1990: ”Il voto negativo può concorrere a formare la volontà negativa della maggioranza degli elettori, mentre l’astensione può concorrere a vanificare la volontà abrogativa della maggioranza degli elettori qualora la somma delle astensioni determini il venir meno del quorum”. Il giudice riconosce la legittimità di chi si astiene dal voto ma: “la legge indica che il diritto al ‘non voto’ si esercita mediante la consegna di una scheda bianca o nulla ma non nella mancata presentazione dell’elettore al seggio. […] La propaganda per l’astensionismo è una forma di lotta politica che in spregio della legge e della Costituzione tende a conseguire la vittoria del “no” anziché mediante il leale confronto delle opinioni e delle volontà degli elettori previsto dalla Costituzione, mediante il provocato mancato conseguimento del quorum previsto come ipotesi patologica in deroga al principio maggioritario utilizzando a favore del “no” anche l’inerzia degli astensionisti indifferenti al prevalere del si o del no, e questo – conclude il magistrato – è un “no” cosiddetto rafforzato che non è previsto né dalla Costituzione né dalla legge elettorale ma che è ottenuto al di fuori delle regole con un uso strumentale e distorto delle norme sul quorum“.
Che non si sappia in giro, i nostri politici sono eletti dal popolo “sovrano”!
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Il referendum 2011 in Italia: il quorum e la farsa dei risultati!
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