Una mafia sconosciuta
Per inquadrare i Casalesi basta forse un dato: nei confini del loro impero – a ridosso dei comuni di Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa -, in un fazzoletto di 16 chilometri quadrati appena, vivono 50 mila abitanti e 1.200 condannati al 41 bis, il carcere duro. I soggiorni obbligati nemmeno si contano. Questo clan, organizzato come federazione di famiglie rette da una cupola, ha una struttura elastica, moderna, aggressiva, profondamente diversa dalla camorra di città. A partire dai primi anni Ottanta i Casalesi hanno costruito relazioni con i principali gruppi criminali internazionali, cacciato i luogotenenti di Cutolo dalle loro terre ed esportato droga a Palermo con la benedizione di Cosa Nostra affermandosi come soggetto economico di prima grandezza.
I Casalesi sono di gran lunga l’espressione più evoluta del Sistema, una miscela di tradizione contadina e fiuto imprenditoriale: il terziario avanzato della società mafiosa.
Eppure sui quotidiani nazionali è raro trovare traccia di questo formidabile potere che nel Casertano ha stabilito un controllo totale, militare, sulle anime, garantendosi un livello di collusione passiva sconvolgente. Un potere radicato su un territorio a forte vocazione agricola, che conta più di 500 aziende edili e il maggior numero di auto di lusso d’Europa.
La mafia siciliana però non si è accorta subito dei Casalesi. Dice Tommaso Buscetta nel verbale delle prime dichiarazioni rese a Giovanni Falcone, il 16 luglio 1984: “Prima di venire a Palermo nel 1980 ignoravo del tutto dell’esistenza di famiglie mafiose fuori dal territorio siciliano. Appresi delle novità da Stefano Bontade, che non si poteva dare pace del fatto che in Campania fossero stati snaturati in maniera tanto grave i principi ispiratori di Cosa Nostra. Bontade mi disse dell‘esistenza di tre famiglie: una a Napoli, capeggiata da Michele Zaza; una nel paese nativo dei fratelli Nuvoletta, rappresentata dal più anziano di loro tre, Lorenzo Nuvoletta; una terza, di cui non saprei precisare l’ubicazione, capeggiata da Antonio Bardellino”.
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