Il Governo Berlusconi è finito. Sabato scorso è successo quello che solo un mese fa ci sembrava difficile perfino immaginare. Alla notizia delle dimissioni si sono riempite le piazze romane, di persone festanti, di italiani, di ragazzi che sentivano l’entusiasmo di un momento, a suo modo, storico. Ho letto le accuse e le condanne verso quel moto di reazione, come se andare in piazza e urlare ‘buffone’ o cantare l’inno nazionale fosse più violento di 17 anni di pernacchie, di diti medi e di ‘coglione chi non mi vota’. In piazza quella sera, come negli ultimi anni, c’è scesa una generazione intera, la stessa generazione che, essendo nata tra gli anni ’70 ed ’80, è cresciuta ed ha vissuto con il costante peso sulle ginocchia di un potere logoro, affaristico e faccendiero.
Ma non è solo di questo che si tratta. Gli ultimi 17 anni sono stati sì illiberali, antidemocratici e liberticidi ma sono stati prima di tutto anni di declino culturale, di menzogna mediatica ad hoc e di plagio delle masse. E’ questo ciò che preoccupa maggiormente.
Ammesso che sia ormai passata l’era politica di Berlusconi dovremo ora metterci alle spalle l’era della Demagogia e del Populismo, l’era del Paese Azienda e dello Stato ad personam. Ma il processo sarà molto più lungo e faticoso. Lo sarà perché i fattori che ci hanno portato fin qui sono molteplici e perché, in qualche maniera, siamo stati complici di un sistema e di un modo di concepire la realtà. Sarà un processo lungo e faticoso perché la storia insegna che la passione degli italiani per i capipopolo è una passione senza tempo, anche quando sembra spenta e sopita, resta sotto la cenere, pronta a riprendere fuoco.
L’impero mediatico-economico che Berlusconi ha costruito in questi anni, in barba a qualsiasi concetto di conflitto d’interessi, è molto più grande e più invasivo del suo pur forte dominio politico. Sono stati anni di vallette, di confessionali, di lacrime a perdere, di applausi preregistrati e di barzellette allusive. I tredici milioni di italiani che, solo tre anni fa, hanno segnato una X sulla scritta Berlusconi, sono la punta di un iceberg. Il berlusconismo e l’antiberlusconismo hanno polarizzato il nostro modo di pensare, hanno distorto il modo di percepire la realtà imponendoci di restare in trincea, ci hanno costretto ad assecondare l’idea del “con me o contro di me”.
Riporto qui l’ultima parte dell’articolo di ieri a firma di D. Marini: “La sensazione è che, in fondo, il premier abbia egregiamente rappresentato in sé la “medietà” degli italiani, considerato anche i consensi raccolti in questi lunghi anni. Offrendo spazio e legittimazione anche ai comportamenti più individualistici, moralmente meno virtuosi, tesi agli interessi particolari e corporativi (per usare eufemismi). Più che continuare a scaricare su di lui le frustrazioni e i disagi maturati negli anni, dovremmo oggi chiederci se e in che misura, tutto sommato, non abbiamo anche noi aderito a quei comportamenti: nel nostro piccolo, nelle nostre vicende quotidiane. Quanto saremmo noi disposti a fare un piccolo passo indietro (per chi ne ha le possibilità, ovviamente) rispetto alle nostre posizioni, per favorire la costruzione di un bene più grande, per una più equa redistribuzione delle risorse? Una nuova partenza del paese passa anche da questo. Per non ritrovarsi, fra qualche lustro, al punto in cui ci troviamo oggi.”[*]
Ci aspettano anni di disintossicazione e di presa di coscienza perché, citando Gaber, “non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”.
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L”immagine è di Mauro Biani.
* Qui l’articolo completo.