Era l’autunno del 2007, Google stava pianificando un investimento importante su Facebook, la più eccitante tra le nuove compagnie della Silicon Valley. All’inizio Google aveva preso in considerazione l’ipotesi di acquisire Facebook – una prospettiva che agli executive di Facebook non interessava affatto – ma un investimento era un’altra opzione invitante, che avrebbe portato all’alleanza tra le due più grandi compagnie internet.
Qualcosa, però, andò storto e l’affare non si concluse. L’investimento lo avrebbe fatto Microsoft, il nemico giurato di Google: 240 milioni di dollari per l’acquisizione di una piccola quota (1,6 per cento) dell’azienda. Il che stava a indicare che Redmond aveva attribuito a Facebook un valore impressionante: 15 miliardi di dollari. A parità di condizioni Microsoft era sempre stata la favorita. L’offerta di Google era stata usata essenzialmente come escamotage, uno strumento per alzare la posta. Gli executive di Facebook non intendevano cogliere l’occasione di unirsi a Google: preferivano la sfida. «Quella gente non ci è mai piaciuta », spiega un ex progettista di Facebook. «Tutti noi avevamo la sfacciataggine di dire che qualunque cosa facesse Google, noi avremmo potuto farla meglio. Nessuno parlava di MySpace o di altri social network. Parlavamo solo di Google».
Il motore di ricerca indicizza i siti ed elenca le news secondo un ordine gerarchico preciso. Mark Zuckerberg, direttore generale di Facebook, immagina un web più personalizzato, umano, in cui la rete di amici, colleghi e familiari è la fonte primaria di informazioni, proprio come lo è nella vita di tutti i giorni. Zuckerberg prevede che gli utenti per trovare un dottore, o la macchina fotografica migliore, o per assumere qualcuno interrogheranno il suo social network, piuttosto che rivolgersi all’algida matematica di Google. È un ripensamento radicale del nostro modo di navigare online che piazza Facebook al centro. In altre parole lo mette proprio dove ora sta Google.
Maggio 2009: 200 milioni di iscritti;
Luglio 2009: 250 milioni di iscritti;
Settembre 2009: 300 milioni di iscritti;
Questa crescita esponenziale fa di facebook una minaccia sempre più reale per Google e socondo un executive della compagnia di Mountain View è inevitabile che avvenga una collisione.
L’azienda più potente del web si sente minacciata da una compagnia che ancora non ha realizzato profitti. Una fonte interna stima che Facebook l’anno scorso abbia bruciato 75 milioni di dollari, oltre ai 275 milioni che aveva incassato; Google ha realizzato un utile di 4,2 miliardi di dollari su un fatturato che ha raggiunto la cifra straordinaria di 15,8 miliardi di dollari. Perfino i capi di Facebook ammettono che Google si è assicurata una posizione di assoluto predominio nelle inserzioni pubblicitarie che portano circa il 90 per cento degli introiti. Ma loro dicono di essere alla caccia di un mercato ancora più ghiotto: quei costosi brand che fino a ora praticamente non si sono avventurati online. Oggi il mercato pubblicitario online dei brand ammonta a 50 miliardi di dollari all’anno: quello non online invece arriva, si stima, a 500 miliardi di dollari. Il desiderio di Google di risolvere l’annoso problema della pubblicità dei brand è così intenso che alcuni executive della compagnia hanno preso in considerazione l’ipotesi di mettere da parte l’orgoglio e cercare un altro accordo con Facebook. Ciò dimostra che Google è stato fortemente influenzato dal social network e dalla sua crescita in rete.
Facebook sta cercando di strasformarsi in un elemento completo e onnipresente della vita online. In dicembre ha lanciato Connect, una rete di oltre 10mila siti indipendenti che permette agli utenti di aver accesso ai loro contatti Facebook, senza loggarsi. Vai su Digg, per esempio, e trovi le storie raccomandate dagli amici. Se ti dirigi su Citysearch, vedi che ristoranti hanno recensito. Vai su TechCrunch, Gawker o su Huffington Post e leggi i commenti che hanno lasciato. Nel giorno del giuramento di Barack Obama – l’Inauguration Day – milioni di utenti si sono loggati su Cnn. com usando il loro Id Facebook, e hanno discusso con i loro amici in tempo reale.
A ringalluzzire un po’ gli uomini di Google, c’è anche il fattore giovinezza di Zuckerberg. Dopotutto Facebook, perfino sotto la leadership più assennata e solida, si troverà ad affrontare una dura sfida: trasformare un’enorme user base in un affare economicamente sostenibile. Un’impresa che non è affatto semplice, provate a chiederlo a Friendster, MySpace, YouTube e Twitter. Grazie all’esperienza diretta con YouTube, chi lavora a Google sa quanto possa essere dispendioso reggere il passo di una crescita esplosiva nelle utenze. Nel 2006 hanno firmato un disastroso accordo di collaborazione con MySpace, per 900 milioni di dollari, un fallimento che ha insegnato quanto sia difficile far soldi con il social networking. E in privato non pensano che lo staff di Facebook, relativamente inesperto, abbia le energie mentali per farcela, laddove loro non sono riusciti. «Se trovassero all’improvviso il modo di monetizzare, allora questo certamente sarebbe un problema», mi dice un executive di Google, uno decisamente altolocato. «Ma non lo troveranno». Questi signori “no” non hanno tutti i torti. Ma prima di rallegrarsi troppo, dovrebbero ricordarsi di un’altra compagnia, una parvenu che scoprì un nuovo modo di organizzare internet. La sua storia è ormai nota, scritta negli annali della rete.
Per cinque anni questa compagnia lavorò alla costruzione della sua user base e al perfezionamento del prodotto, resistendo alle suppliche dei venture capitalist, che volevano che si trovasse il sistema di cavarne denaro. Con lungimiranza, pensò prima agli utenti che al business e solo dopo essere diventata una parte essenziale della vita online di tutti, ebbe una visione chiara della propria strada negli affari. Crebbe rapidamente, diventando una delle aziende più potenti del mondo. Il nome di quell’azienda ovviamente era Google.
Questo post è una rielaborazione dell’articolo pubblicato su Wired.it