di Maurizio Trezza.
Nel 1981 il carismatico leader del PCI Enrico Berlinguer poneva, come condizione necessaria nel normale svolgimento dell’attività politica italiana, la sfida e la risoluzione della cosiddetta “questione morale”. L’imposizione di questa “nuova via” nell’attività politica nasceva dall’esperienza storico/partitica degli anni precedenti ed era figlia di tutte le distorsioni strutturali che hanno poi caratterizzato la storia della Prima Repubblica. La società era reduce dalla crudele violenza ideologica degli anni ’70, stretta com’era tra le lotte di classe e la crisi economico-energetica, tra la strategia della tensione e i conflitti sindacali, i partiti erano tutti indaffarati nelle dispute interne e, in modo indiscriminato, si erano impossessati della maggior parte delle istituzioni, degli enti locali, delle banche, delle università e di alcuni grandi giornali, dimenticando e abbandonando la loro reale dimensione. Si avvertiva quindi, da parte del segretario comunista, la necessità di far coincidere l’esercizio del potere, fondamentalmente il potere dei partiti, con l’etica personale, con quella “legge morale” che guida ogni individuo nelle azioni e nelle attività umane.
In realtà l’espressione linguistica nasce già nel 1892 quando il deputato repubblicano Napoleone Colajannin, in un intervento al parlamento, denunciò i rapporti occulti tra la politica dei partiti e di singoli uomini politici e le tre grandi banche meridionali (la Banca Romana, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia) rimaste in vita, dopo l’unità, per aiutare la ripresa economica del Mezzogiorno. Da allora, e quindi da più di cento anni, si è tornati a parlare, nel dibattito politico, della necessità di risolvere la questione. Nelle lotte portate avanti negli anni ‘70 dal Partito Radicale si erano intravisti lievi tentativi, impliciti e velati, di affrontare l’argomento ma, come si poteva intuire dalle parole dello stesso Berlinguer, il problema non poteva ridursi a pura, ancorché necessaria, lotta d’avanguardia. Nell’intervista ad Eugenio Scalfari, con la quale si riportava alla luce tale esigenza, egli sottolineava la necessità di porre la questione morale al centro della questione italiana e di guardarla in una prospettiva più ampia :
”La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. […] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude”.
Come già accennato, la “campagna moralizzatrice” di Berlinguer era rivolta quasi esclusivamente alla condotta dei partiti, in particolar modo a quelli governativi, che giustificavano tale intervento con il fatto che il PCI non aveva mai occupato rilevanti posizioni di Governo e che quindi non si era mai sporcato le mani con il potere. Ora, alla luce degli avvenimenti politici che hanno scosso il Paese dal 1981 ad oggi, risulta evidente a tutti che la questione morale non è mai stata risolta e che, anzi, essa è cresciuta in modo smisurato. Gli anni ’80 e ’90 sono stati caratterizzati da una fitta serie di scandali, i gravi atti di corruzione che Tangentopoli ha scovato e le oscure trame rivelate dalle indagini, il coinvolgimento di numerosi esponenti politici, le vicende finanziarie degli ultimi dieci anni, gli assalti alle banche con relative complicità a livello istituzionale, la presenza in Parlamento di numerosi condannati e le recenti vicende scandalose dei nostri politici. Dunque, la “questione morale” si presenta come il filo rosso della questione italiana. Le circostanze ed i soggetti cambiano con lo scorrere del tempo, ma lo sfondo, la sostanza è sempre la stessa. L’intreccio tra affari e politica, il dilagante senso di illegalità e il disprezzo dell’etica pubblica, la convinzione dei delinquenti di poter contare su una diffusa rete di connivenza, di essere in grado di far valere i ricatti in forza di grandi complicità, di riuscire a sfuggire alle giuste pene, insomma, il vortice nel quale è precipitata la società moderna ci lasciano intendere che la “questione morale” si sia trasformata in “una questione immorale” e l’assoluta mancanza di fermezza e di impegno nel risolverla ci fa capire che resterà tragicamente “una questione immortale”.
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